martedì 13 dicembre 2011

POST NOVECENTO

Posted by PicasaL'alienazione del secolo breve
così breve che non finisce mai
scandisce il tempo che più non ha tempo
per invertire la marcia sbagliata
delle menti inconcludenti e smarrite
tutt'intorno nemmeno uno tsumani
riesce a smuovere la calma piatta
mentre la terra frana sotto i piedi
del formicaio dai lobi cantanti
e la canzone è sempre la stessa
senza uno sguardo alla strada i più
novelli Chagall sorvolano il rosso
sopra una nuvola passaparola
mentre i più vecchi parlano col cane
l'unico che forse sappia ascoltarli


Un bordello questa Italia strafatta
infoiata d'attese balcaniche
covate tra insulti e parolacce
vomitate con parodie insulse.
Nell'attuale deserto del pensiero,
dove l'ignoranza è obbligatoria
e l'indifferenza regna sovrana,
ogni ombelico è centro del mondo,
ma io senza riserve, caparbio,
gramscianamente resto partigiano.


MILLENOVECENTOQUARANTAQUATTRO

il tram bloccato e poi tutti a terra
e di fronte al "Corso" in corso Vittorio
la DECIMA MAS, le armi alla mano
circonda e strattona la "crica 'd Bruno".
Prima i documenti quindi la rabbia:
l'unico di leva è TBC:
OTTAVO ANNO DEL TERZO MILLENIO
storie di tram e di retate a caccia
d'una DEMOCRAZIA clandestina.


1938/2008
"Meditate che questo è stato" *

Avevo dieci anni nel "trentotto"
e Fuller, il dentista di famiglia
che i denti li curava con il sorriso,
improvvisamente chiuse lo studio.
A scuola educarono alle "LEGGI"
e il fumo dei camini ci illustrò
la nostra superiorità di razza.
Poi Primo Levi un giorno ci ammonì
ma noi ancora lo lasciammo solo
mandando al rogo la nostra ragione.

*da "Shemà di Primo Levi

"D'EJA VU"
"D'eja vu" nel breve secolo andato:
mentre il fumo usciva dai camini
e i vagoni piombati correvano
stridendo sui binari del dolore
chi non vide, non sentì, non parlò,
saltò sull'°ancora del "non sapevo".
Anche oggi, ancòra come allora,
tanti giocano alle tre scimmiette
disposti poi, se il vento cambiasse,
s stracciarsi le vesti dal dolore.
ricordando la nuova deportazione dei rom


Da anni in un angolo di piazza Castello, si nota una scritta che recita:
LAVORA   CONSUMA   MUORI

Passeggiando nel centro di Torino
da tanti anni ormai leggo la scritta.
La frase sbiadita resiste al tempo
e alla pennellatura censoria
che periodicamente ci riprova
poi come fenice sempre risorge.
In questo tempo la lotta di classe
conosce un unico senso di marcia
ma quella frase forse la potremmo
ricongiungere in un tempo diverso.

                      18 giugno 2010 
Questa poesia è dedicata agli operai di Pomigliano d'Arco
e a Josè Saramago, poeta, scrittore, compagno che proprio oggi ci ha lasciato.

Noi suonammo tamburi quella notte
tanburi grandi tamburi africani
e catalizzano un desiderio
ancora più profondo di quei suoni
che come tanti colpi di machete
apivano il sentiero al nostro sogno
E anche ora dopo tante lune
quando la mente galoppa lontano
quei suoni ancora battono alla porta
Noi suonammo tamburi quella notte

24 AGOSTO 2010
Una domenica di martedì
e mai domenica fu così intensa
un film da Oscar da tutto esaurito
coi tuoi capelli in gara col sole
che fa bisboccia nel cielo ingrugnito
e mentre il gelato languidamente
si sta scioglendo tra le tue labbra
la ricciòla gran Regina del Mare
s'insinua tra le mie e scompare
cento ne vorrei di giorni così.


Poesia inserita nel percorso
d'un immortalato trancio di tonno
appena scottato nel verde parto
dal desiderio nel nostro palato.
Formaggio dolce e miele d'acacia
che con audacia reclama affogato
il cioccolato in salsa d'arancia
mentre in attesa del botto finale
la rossa fragola fa l'occhiolino
al nostro palato ormai sedotto.

cena al ristorante di via Bottego - Torino - 28/6/2008


FORO BOARIO

Sono tutti in gran fibrillazione
seduti sopra scanni traballanti
e pensando allo zoo che verrà
in tanti fanno esame di coscienza.
Gran transumanza nel Foro Boario
ci si sbrana per una ghianda in più
mentre il chirurgo dalla faccia tosta
anche se stanco del lavoro diurno
incurante delle eventuali pene
nella notte fa opere di bene.

22 LUGLIO 2001
Genova - Scuola Diaz

Nella scuola cercavano anche Cristo.
Qualcuno denunciò d'averlo visto
mentre infuriato cacciava i mercanti
da quella rossa città proibita,
altri l'hanno sorpreso nell'istante
che spartiva pane e vino con tutti.
Certamente un drogato sovversivo,
dev'essere scovato ad ogni costo!
Cercando un Cristo ne han trovati cento
e li hanno massacrati di botte.


Sotto mentite spoglie di Robin
i novelli sceriffi di Notthingham
non solo svuotano le nostre tasche
ma son pure ladri di parole:
*    "libero fischio in libero stato"
l'hanno chiamato: "una grave violenza"
**  mentre la guerra da noi ripudiata
"missione di pace" è diventata.
Come già Tacito un tempo notava
fatto un deserto lo chiamano pace.

* Frase di Pertini        
                                                  ** art. 11 della Costituzione.                                                           


Immigrati con la memoria corta
dimenticano "i cani e gli italiani"
a cui l'ingresso non era gradito
dentro tipici locali nordici.
Ai tmpi dell'Italia Sessantuno
certi cartelli erano normali:
"non si affitta a meridionali".
Dicono in troppi: "non sono razzista..."
ma subito aggiungono "... però..."
e dopo il "però" il razzismo esplode.

domenica 27 novembre 2011

poesia di novembre 2011

Nell'ora dell'incertezza assoluta
devo imparare a dire "non so"
*centellinando quel bicchiere d'acqua
che sorseggiai quando avevo sei anni
ma una risposta può stare sospesa
finché l'acqua solletica la voce
poi per valicare il tempo va scritta
e se è scritta diventa un macigno
che percorrendo l'universo mondo
va alla scoperta d'altre risposte

*Quando avevo sei anni, Don Matta, vice parroco della chiesa di Santa Croce, raccomandava a noi ragazzini di meditare bene e con calma prima d rispondere a chi ci interpellava. Appunto bevendo lentamente un bicchiere d'acqua. Don Matta aveva una grande esperienza essendo già stato parroco di una chiesa inglese. 

domenica 20 novembre 2011

LA SCUOLA SICILIANA (ricerca per il laboratorio "Parole in gioco" dell'UNITRE di San Gillio

Federico II, nipote di Federico Barbarossa, nasce a Jesi il 26 dicembre 1194 da Costanza d'Altavilla e da Enrico vi. Nel maggio 1198, sotto Papa Innocenzo III, è incoronato RE di Sicila. Nel 1208 diventa maggiorenne e l'anno successivo sposa Costanza d'Aragona. Nel 1215 è incoronato imperatore ad Acquisgrana mentre nel 1220 riceve a Roma la corona da Papa Onorio III.
Nel 1224 fonda lUniversità di Napoli che ancora oggi porta il suo nome.
Morta la moglie sposa Isabella, figlia di Giovanni di Brienne Re di Gerusalemme, pure lui come Federico, poeta. L'epoca è quella della morte di San Francesco (1226).
Nel 1228 Federico va in Terra Santa viene incoronato a Gerusalemme e ritorna in Sicilia. Nel 1230 fa pace col nuovo Papa Gregorio IX.
L'anno successivo promulga il "Liber Augustari" ovvero le "Costituzioni Melfitane".
Nel 1235, vedovo per la seconda volta, sposa Isabella sorella del Re d'Inghilterra e l'anno successivo è eletto Re di Germania. La domenica delle Palme 1239 viene scomunicato.
Morto Papa Gregorio IX diventa Papa Innocenzo IV che nel 1244 fugge a Lione dove nel 1245 Federico viene deposto dal trono imperiale.
E' proprio nel suo viaggiio verso Lione che Federico passa da Torino dove pare si sia fermato per uno o più giorni.
Federico, sconfitto muore in Puglia a Castel Fiorentino nel 1250 a solo 56 anni, passati tra battaglie vinte e perse e, come vedremo, tra l'arte e la cultura più eccelsa del tempo. Solo 56 anni, ma tutti vissuti intensamente.  Questa per sommi capi la sua vita.
Ma cos'è che fa grande Federico? Intanto la continuazione della lotta tra impero e papato intrapresa dal nonno Federico Barbarossa. In termini attuali si potrebbe dire tra la laicità dello stato e la religione diventata istituzione politica.
Ma al di là di questo di per sé già importante è significativo il fatto che alla sua corte si verificò una cosa impensabile per l'epoca e che anche oggi è assai difficile da realizzare. In Sicilia accadde che culture assai diverse tra loro operarono e crebbero insieme facendo fare all'arte, alla poesia, alla cultura in generale un salto di qualità che brilla ancora oggi.
Non a caso Federico fu definito "Stupor Mundi".
Fu un sovrano che inspirò gli estremi del panegirico e dell'invettiva dell'amore e dell'odio. Secondo le testimonianze poetiche il più grazioso monarca e il più vile, il più generoso e il più avaro, sovrumano o demoniaco, salvatore messianico o anticristo.
Ma indipendentemente dalle valutazioni è stato colui che nei primi cinquant'anni del 1200 dede vita alla convivenza tra le diverse culture presenti sul territorio: l'ebraica, la bizantina, l'araba.
Almeno otto erano le lingue con cui ci si confrontava alla sua corte.
Per farsene un'idea basta mettere piede nella Cappella Palatina di Palazzo dei Normanni a Palermo. Si resta abbagliati e senza fiato nel vedere come l'arte araba, quella ebraica e quella bizantina abbiano saputo fare insieme, convivendo, un salto di ineguagliabile valore.
Ma perché ciò avvenne?
Perché non ci fu tolleranza ma convivenza.
Tolleranza implica una "cultura superiore" (o ritenuta tale) che tollera altre culture sotto traccia considerate inferiori. La convivenza è invece improntata ad un confronto tra pari dove le diverse culture appunto convivono e "contaminandosi" danno luogo ad un'altra cultura che, esaltando le precedenti in sé contenute, nel divenire si fà "nuova".
E' così che alla corte federicana nasce la prima scuola poetica italiana: la Scuola Siciliana.
Dante che non fu solo il "sommo poeta", ma anche uno studioso delle lingue, esaminò la lingua "triforme" dell'Europa meridionale costituta dalla lingia "d'oc" da quella "d'oil" e dalla lingua del "si" parlate in territori contigui anche se distanti tra loro.
Nella lingua del "si" Dante distinse 14 tipi o esperienze sostanzialmente autonome assegnando al "volgare sicliano", strumento della scuola poetica di Federico II, il ruolo di anticipatore della lingia del "dolce stil novo":
In proposito Dante scrive sul "De vulgari eloquentia":
... quegli uomini grandi e illuminati, Federico imperatore e il suo degno figlio Manfredi che seppero esprimere tutta la nobiltà e dirittura del loro spirito e finché la fortuna lo permise si comportarono da veri uomini sdegnando di vivere come bestie. Ed è per questo che quanti avevano in sé nobiltà di cuore e ricchezza di doni divini, si forzarono di rimanere in contatto con la maestà dei grandi principi cosicché tutto ciò che a quel tempo (Dante scrive quasi un secolo dopo) prooducevano gli italiani più nobili d'animo vedeva la luce dapprima nella reggia di quei sovrani così insigni.
Poiché sede del trono regale era la Sicilia ne è venuto che tutto quanto i nobili nostri predecessori hanno prodotto in volgare si chiama siciliano: ciò che anche noi teniamo per fermo e che i nostri posteri non potranno mutare.

I poeti della scuola siciliana

Lattività della scuola siciliana si svolge presso la corte federicana dove i poeti sono funzionari (notai, magistrati, ecc.) che trovano nella poesia un motivo di evasione dalla realtà delle proprie funzioni sociali. La lirica siciliana si svolge quindi su motivi avulsi dalle tematiche politiche vere e proprie anche se non mancano ovviamente, gli schemi tipici di una società feudale, come l'omaggio rivolto alla donna che mantiene le convenzioni già in uso nella cultura provenzale che è immediatamente antecedente alla scuola siciliana.

Federico II

Misura, provedenza e meritanza
fa essere l'uomo savio e conoscente,
e ogni nobiltà buon senn'avanza
e ciascuna riccheza fa prudente.

Né di riccheze aver grande abundanza
faria l'omo ch'è vile esser valente,
ma della ordinata costumanza
discende gentileza fra la gente.

Omo ch'é posto in alto signoragio
e in riccheze abunda, tosto scende,
credendo fermo stare in signoria.

Unde non salti troppo omo ch'è saggio,
per grandi alteze che ventura prende,
ma tuttora mantegna cortesia.

Giacomo Da Lentini
E' il più notevole dei poeti siciliani, quasi un caposcuola, forse a lui si deve l'invenzione del sonetto.

Sì come il sol, che manda la sua sfera
e passa per lo vetro e no lo parte,
e l'altro vetro che le donne spera,
che passa gli occhi e va da l'altra parte,

così l'Amore sere là ove spera
e mandavi lo dardo da sua parte:
fere in tal loco che l'omo non spera
e passa gli occhi e lo core diparte.

Lo dardo dell'Amore, là ove giunge,
da poi che dà feruta sì s'apprende
di foco, ch'arde dentro e fuore non pare;

e li due cori insemla li giunge:
de l'arte de l'amore sì gli aprende,
e face l'uno e l'altro d'amore pare.
Pier della Vigna
Consigliere di Federico II è forse lui il vero imput della scuola.
Guido delle Colonne
Rinaldo D'Aquino
Stefano Protonotario da Messina
Jacopo Mostacci
Giacomino Pugliese
Re Enzo figlio naturale di Federico II
Mazzeo di Ricco da Messina
Filippo da Messina
Bondie Dietaiuti
Maestro Francesco
Megliore degli Abati
Maestro Torrigiano
Pucciandone Martelli
Ugo di Massa
Cielo D'alcamo che viene di fatto inserito nella scuola anche se certamente non ne faceva parte.


Nel lungo corso di tanti secoli
fu soltanto la lingia che ci unì
un percorso che aprì Federico
e che l'Alighieri certificò
dove il Manzoni poi sciacquò i suoi panni
Nessuno scheglie se nascere e dove
ognuno è cittadino della Terra
a sud di un nord che è sud per altri
così come chi nata in Mozambico
questo 5 giugno parlò italiano
Luigi tribaudino
5 giugno 2011
Premiazione della XXI edizione del
Concorso Nazionale Letterario "Garcia Lorca"

giovedì 30 giugno 2011

21 marzo - giornata mondiale della poesia

logo della giornata mondiale di poesia
Poesia consacrata nel mondo
per complessive ventiquattro ore.
Solamente un giorno di poesia
trecentosessantaquattro di prosa,
prosa che ahimè ha il fetore di guerra.
Con il capo infilato nella sabbia
Non vedere, non sentire, tacere.
"Devi tacere il nemico ti ascolta!"
Reminiscenze di tempi lontani
ma così terribilmente vicini.

Luigi Tribaudino