domenica 18 agosto 2019

Il 18 agosto 1936
fu fucilato Federico Garcia Lorca

AGOSTO 36

Agosto 36: un crepitio
e Federico Garcia si zittì,
ma la sua voce varcò le montagne 
sulle note di chitarre Andaluse.
I suoi versi, nel canto dei gitani,
giunsero a noi, lontani, tra gli scoppi
delle bombe e nel sangue di Guernica
galopparono fino a Hiroshima.
Poi il mondo riprese i suoi colori,
tutto si cambiò, o almeno a noi parve.
Così sul colle furon pochi a dire:
"Tarderà a nascere, se pur nascerà,
uno come Federico Garcia".




sabato 25 febbraio 2017

Lettera per Gino da Elisa Giuponi

Elisa Giuponi, amica e poetessa, è stata una delle prime iscritte all'Associazione Culturale Due Fiumi fondata da Gino (Luigi Tribaudino) di cui è stato anche il presidente e l'animatore per oltre 20 anni.
Ed in occasione di un incontro di poeti ed amici avvenuto a casa mia per ricordare Gino, Elisa ha portato questa lettera che abbiamo letto in quell'occasione e che qui riporto per intero.

Torino, giovedì 23 febbraio 2017    

Ricordo il caro Gino 

            Volevo ricordarti con due parola affettuose e di sincera amicizia: ma ho riletto la tua poesia "Settembre 43" e allora credo non ci siano parole adeguate per ricordarti....

            "Settembre 43" parla di te, del tuo animo e della tua bontà nell'osservare  l'atteggiamento altrui e fa parte di te dell'uomo che sei stato. 
Schivo ai sentimenti, buono e giusto, forse poco espansivo, ma cosa c'è di meglio della poesia per mettere a nudo una persona?.... e con questo credo credo di doverti ringraziare per il tuo impegno sociale anche se sembravi un po'schivo ai sentimenti, ma chi di noi è in grado di giudicare gli altri?
Cosa c'è in noi di non detto?

               Con questo ti ricordo e ricordo la nostra amicizia e le nostre chiacchierate domenicali a casa di Silvana ricordando anche con grande amicizia  la cara Iole, mamma di Silvana.

                                                                                                       Elisa
con affetto vi ricordo.....
             




giovedì 2 febbraio 2017

VIA COSSILA 18 Storie di una casa di ringhiera

Ricordando mio padre

PREMESSA

Sono andato ad abitare in via Cossila 18 che ancora non avevo tre anni. L'ho lasciata che già ne avevo venticinque.
Miei compagni di gioco due ragazzine più alte di me: Rita e Vilma. Il ferroviere della poesia "Il coprifuoco" è appunto il padre di quest'ultima ucciso dai tedeschi mentre in bicicletta rientrava dal lavoro.
Teatro dei nostri giochi il lungo balcone al terzo piano, mentre il balcone verso strada è quello da cui osservavo il transito delle macerie di via Roma vecchia ch andavano a colmare l'ormai asciutto letto della Dora. E' lo stesso balcone da cui ho visto l'episodio della poesia "Settembre '43". 
Bruno più volte citato nel testo, è stato l'unico vero amico purtroppo prematuramente scomparso subito dopo la guerra.
Spero che chi come me abbia vissuto quei tempi in una casa di ringhiera possa ritrovarsi nei miei versi.




Balcone al terzo piano

Un'unica  ringhiera lungo il lungo
spazioso corridoio a cielo aperto
chiassoso per i tanti nostri giochi
stracolmi di litigi e d'amicizia.
Teatrino di "belle statuine"
che minano la vita degli adulti,
pista sportiva i corse sfrenate
al ritmo di fanfara fantasia,
"settimana" calcata giorno a giorno
da risonanti tacchetti ferrati.

I bersaglieri vanno

"Non son più i bambini dei miei tempi!"
Di corsa su e giù per il balcone
"I bersaglieri vanno..." senza posa
tra sdegnati rimbrotti degli adulti
che sognavano un'ora di riposo.
Poi la trombetta cessa di suonare
lasciando il passo ad un gioco nuovo
senz'altro più adatto ad una bambina
e ormai degradato il generale
si rassegna giocando alla cucina.

I richiami del cortile

Quando esplodono i giorni della scuola
quasi fosse inferriata d'una cella,
solitario m'aggrappo alla ringhiera
ascoltando i richiami del cortile:
"Feramiu! Magnin! Paraque! Molita!"
l'allegro suonatore d'ocarina
o l'uomo senza braccia per la mina.
Poi di sfuggita scappo sul ripiano
e guardo dalla tromba delle scale
ma Rita e Vilma tardano a tornare.

Sere d'estate

Il balcone, nelle sere d'estate,
è come una stalla di contadini,
il punto d'incontro dove i vicini
stan raccontando le cose di sempre
spettegolando su questo e su quello,
ma a bassa voce perché c'è la nebbia.
Noi tre bambini, un orecchio agli adulti,
sentiamo invece i racconti del nonno
quelli che già conosciamo a memoria:
le antiche conte, la faùle, la stòria.

Il campanile

l'ombra del tempo s'allunga in cortile
con sordi rintocchi sempre puntuali
segnando ogni passo della giornata:
il sonno, la sveglia, cena e mercato,
il pranzo, il lavoro, gioco e bucato.
Poi la campana ricorda ai credenti
il mattutino, la messa ed il vespro
ed anche quelli che sono dubbiosi
la vita orientano su questi suoni
che fanno uguale ogni giorno che passa.

La casa all'interno

Uovo a sorpresa quel nostro cortile
nasconde all'interno un'altra casa.
La bici di Tonin al primo piano
aspetta il turno alla Grandi Motori,
la terzo Vigiot il sabato è alticcio
ma mai che perda un'ora di lavoro
e l piano terra manca il pescatore
ucciso dall'acqua che lo sfamava.
Stanze allineate come soldati
nel combattimento di tutti i giorni.

Casa allegra

Spesso il cortile è tutto un concerto:
la fisarmonica lassù strimpella
un virtuosismo assai noto e stonato,
nel sottoscala un violino scordato
esplora gli accordo che mai troverà,
la nonna canta sgranando fagioli
a mezza voce antiche ballate
mentre dall'uscio sonanti posate
ritmano ciò che la radio ci dà.
Serena allegria in semplicità.

Sere D'inverno

Son molto corte le sere d'inverno
sotto la debole luce schermata,
A mezza voce i grandi tra loro, 
giocando a "briscola" poco convinti,
parlan non solo di pettegolezzi
ma anche dei "moro" e di "Ceruti"
che tanto al chiuso nessuno li sente.
Già coricato con gli occhi a mezz'asta
invano tento d'apprender qualcosa
ma il sonno m'assale senza rimedio.

"moro"   = mori, cioè fascisti
"Ceruti" = come gli operai chiamavano tra loro Mussolini.

Sabato sera

Il sabato sera è sempre festa:
le scale si fanno formicaio
che come d'incanto lascia la tana
e si precipita verso la strada
dove s'unisce alle altre formiche,
poi dietro l'angolo la decisione
piuttosto sofferta in ogni famiglia
"Cinema Belgio oppure l'Olimpia?"
Così sempre uguale il sabato sera
diventa un sabato sempre diverso.

La carovaniera

Dall'alto del balcone verso strada
la carovana osservo ogni giorno
dei tanti "tombarej"con detriti
che lenti se ne vanno in fila indiana
or dopo ora verso la Dora.
Le case della via Roma vecchia
percorrono il loro funerale
che giorno dopo giorno al cimitero
sotterra ciò che fu la loro storia
senza curarsi della vecchia gloria.

"tombarej" =
 carri trainati da un cavallo che si scaricavano rialzando il cassone,
 come oggi fanno gli autocarri del movimento terra.
 Forse il nome deriva da tomba, infatti venivano usati anche nei cimiteri.


Tempo di scuola

Più non mi aggrappo a quella ringhiera
è approdato il tempo di scuola.
Orario fisso poi c'è ladunata 
i compiti a casa con la lezione
poco mi resta per quel mio balcone,
solo ritagli rubati alla cena
tra i rimproveri di mia madre.
Però in fondo la scuola mi piace
imparo quello che non conoscevo
che ad esempio ci fu il Medioevo.

La guerra di zio Giovanni

Spesso di sera sull'uscio di casa
zio giovanni racconta la guerra,
quella che allora si diceva grande.
Ci parla del Carso e degli alpini,
della trincea coperta di fango,
di tante crudeli decimazioni
dopo gli assalti assenti di gloria.
Son tutti fatti che noi bambini
cerchiamo invano sui libri di storia.

L'infanzia è finita

Un panorama di tetti e balconi.
Stessi sterniti nei vari cortili
che si rincorrono di muro in muro.
Oltre la Dora s'affaccia Tamagno
e un po' più lontano la ciminiera,
fusiforme e saettante di fumo,
com pittore dai tristi pensieri
di nero dipinge l'arcobaleno.
Il cielo s'adombra come presagio
quasi per dirmi: "L'infanzia è finita".


Barba Vigio

"Regia Questura - Foglio illustrativo -
Oggetto; Monticone, sovversivo.
Guardia Rossa nei fatti del ventuno,
di mestiere decoratore in fino,
nemico dello Stato, niente scuola.
Scontati diciott'anni digalers.
Sorveglianza. Non può uscir di sera."
Caro diario, è arrivato un mattino
barba Vigio che mai avevo visto
e m'ha corretto un foglio di latino.

"barba Vigio" = zio Giovanni


La crica 'd Bruno

Sotto l'androne c'è Bruno che aspetta.
Io che attendo una certa risposta
saltando i gradini scendo di corsa
"Gino è deciso, ormai sei dei nostri!"
La cosa non era poi così certa,
son figlio unico e pure studente
loro lavorano nelle officine
son più grandi e fuman da sempre,.
A questo punto decido in fretta
da domani la prima sigaretta.

Il barometro

Quella bici ancorata alla ringhiera
resta soltanto in parcheggio d'attesa
per la seconda volata del giorno.
Anche mio padre ormai come tanti
affaticato rincorre fatica.
Quel "posto al sole" ahimè non riscalda
la vita modesta d'un operaio
e o fa nero soltanto di rabbia.
La bicicletta sull'uscio di casa
è il barometro d'un brutto tempo.

"posto al sole" = così Mussolini, prendendo in prestito
la frase da altri, chiamava l'impero d'Etiopia.

Vincere

Quell'imperativo categorico
fu smentito la stessa prima notte
tra sorpresa ironia e tanta rabbia.
Col naso all'aria tutti sul balcone 
increduli per quelle strane prove
dell'ormai famosa maschia volontà
potente solamente di parole.
Stupore dello stesso stupratore,
come fanciulla innocente e indifesa
la città s'aprì alle sue voglie.

Con il suono delle sirene a bombardamento iniziato e senza reazione antiaerea nella prima notte di guerra Torino ebbe i suoi primi morti.
"Vincere e Vinceremo"
era il famoso "imperativo categorico" lanciato baldanzosamente da Mussolini nel pomeriggio dal balcone di Palazzo Venezia.


Il rifugio

Il grido di spaventose sirene
ululanti nella notte di luna
stronca all'istante il sonno di tutti
mentre dal cielo erranti comete
sgranano il loro rosario di morte.
Giù per le scale è tutto un richiamo,
urlanti voci rincorrono voci
nello sciabolio di poche luci.
Poi tutti quanti stipati in cantina
salotto di bestemmia e di preghiera.

Venerdì 5 marzo '43

Dapprima fu un Tonin emozionato
quindi a bassa voce di casa in casa
poi quasi urlta da un balcone all'altro:
"Dopo vent'anni hanno scioperato,
hanno gridato di farla finita,
vogliono più pane e il carovita!"
La sera cercan tutti l conferma
un occhio all'uscio orecchio alla radio.
Così "Radio Londra" bussa alla porta
quella notizia che già tutti sanno.

Per carovita gli operai torinesi intendevano al rivendicazione di un salario adeguato allo scandaloso aumento dei prezzi. era la prima volta che gli operai sfidando i pericoli osavano ribellarsi al regime fascista.

La notte del 13 luglio

Di corsa sopra il ponte illuminato
dai bengala che dal cielo scendono
come arcangeli candidi di morte.
Poi dietro il paraschegge a cielo aperto
panoramico come un belvedere
" 'l borg del fum" in fiammi tra gli scoppi.
Quando torniamo tra pareti sfatte
abbracciati a papà che ci cercava
tra le macerie delle case infrante
via Cossila sta contando i morti.

" 'l borg del fum" = il borgo del fumo, e cioè Vanchiglietta, una specie di penisola alla confluenza del Po e della Dora. 
Così chiamato per il fumo delle ciminiere delle fabbriche.

Il coprifuoco

Il tronfio squadrista del primo piano
s fine luglio sgonfiato scomparve
mentre esplodeva la gioia di tutti.
Ma il coprifuoco estinse all'istante
quel lungo sogno sognato da sempre,
così a prima sera chitarra in mano
dopo un sottile gorgheggio alla Buti
Bruno di corsa staccava la ronda.
Poi a settembretornò il terrore
e il ferroviere morì di mitraglia.

gorgheggio alla Buti"= Carlo Buti era un famoso cantante in voga a cui Bruno si rifaceva nel canto.


Settembre '43

Comparve come folata di vento
dalla strada selciata di macerie
con rumore d'esercìto in fuga.
Tacchi alla nuca rincorrevano
quella vita che gli stava sfuggendo,
sparì dietro l'angolo in un istante.
Quando alle donne i segugi chiesero
tutte indicarono l'angolo opposto,
non sapevano chi fosse il ragazzo
ma in quel momento era figlio di tutte.

Uno sconosciuto giovane in fuga viene salvato dalle false indicazioni che i presenti danno ai suoi inseguitori.


Casa triste

Non più la fisarmonica e il violino
e Mario più non suona le posate
solo un concerto di dolore e rabbia.
Il buon Vincenzo figlio del custode
è stato fucilato su a Giaveno
dove cercava scampo alla chiamata..
Tonin che all'officina è coi ribelli
ci assicura che presto scenderanno
e Bruno intanto è andato in sanatorio
la fame e il freddo ne han fermato il canto.

Aldo dice 26x1

Da Sassi son giunti in corso Belgio
barba lunga bandoliera a tracolla
un rosso fazzoletto stretto al collo.
La casa ora è vuota. Tutti in strada
o dentro le fabbriche occupate
mentre sul corso già si sta sparando,
un panzer ha ucciso all'Opificio
ed i cecchini tirano ai passanti.
Ma tra uno sparo e l'altro con coraggio
in tanti stan pensando al Primo maggio.

"Aldo dice 26x1" = l'ordine di insurrezione del C.L.N.

Cinque anni

Cinque anni dissolti per magia.
C'è allegria stasera nel cortile
e ballano tutti anche chi non sa.
Ma le rovine fanno da fondale
e due sedie vuote come quinte
per questa festa fatta per scordare
cinque anni da non dimenticare.
Cinque anni. Il bagaglio d'una vita
che porterò con me da questa casa.
Non ha storia che perde la memoria.


                                                         Luigi Tribaudino (Gino)



mercoledì 6 maggio 2015

la nostra Pechino Parigi (10/08/2013)

La nostra corsa al parcheggio nei boschi
come per incanto si trasformò
in una nuova PECHINO PARIGI;
tutto un intrigo di strade sterrate,
curve curvate e tronchi troncati,
ampi spazi recintati e vietati.
Sbandano gli anni correndo sui monti
una camminata ormai d'altri tempi
quando l'occhio ancora gemello al passo 
equilibrava il peso dell'età.

PECHINO PARIGI la mitica corsa del 1907

domenica 15 febbraio 2015

BELLA CIAO!

Ormai è la canzone degli oppressi
un rito libertario che fa uguali
gli ultimi di questa società
gli umili che cercano un lavoro
chi studia e un lavoro non ce l'ha
la cantano le Curde nell'assalto
per conquistar lo Stato che sarà
la urlano in Spagna e ad Atene
per costruir l'Europa in libertà

E' l'internazionale che verrà

mercoledì 14 gennaio 2015

UDAI - Il ragazzo che pesò l'elefante

Nella notte dei tempi, quando ancora qui da noi l'uomo si vestiva di pelli d'animale e i rifugiava nelle caverne, nel lontano oriente già era grande il Celeste Impero, il Katai o la Cina come noi la chiamiamo ora. 
Era veramente un impero smisurato ed un muro lungo cinquemila kilometri ne difendeva a nord i suoi confini che si estendevano dalle Indie alla Mongolia. Affacciato sul mare guardava lo Zipon, "l'oriigine del sole", l'attuale Giappone, anche se i suoi abitanti, gli Ainu, manco immaginavano di essere osservati. 
Capitale di questo vastissimo Impero  era la città di Changan, ora Sian, nello Shensì, dove vivevano ottomila famiglie, e le famiglie allora erano molto numerose.
Le mura che cingevano la città erano lunghe venticinque kilometri con dodici porte e sedici ponti, Nove mercati, con moltissime officine artigiane e botteghe di ogni tipo, assicuravano ogni ben di dio ai cittadini. 
La strada che partiva dalla capitale attraversando tutta la Cina raggiungeva i paesi che noi chiamiamo Pakistan, Afganistan, Irak, Siria, toccando addirittura le coste orientali del Mediterraneo. Era la famosa "via della seta" attraverso cui venivano esportati utensili di ferro, lacche e, ovviamente filati di seta e seta greggia. 
Sempre per tale via venivano importati cavalli, cammelli, profumi, uva, canapa. L'astronomia e la matematica erano già molto sviluppate così come la medicina e tutte le arti. E' in quel periodo che venne stampata la prima carta. Una carta di seta molto sottile atraverso cui ancora oggi i cinesi di allora ci parlano e ci raccontano la loro storia.
Figlio del Cielo, ossia Augusto imperatore della Cina, era il grande Wu, della dinastia Han Occidentale,  che aveva al suo fianco come Primo Ministro, il Marchese di Dai Li Cang. Il Marchese era ritenuto da tutti un astuto e abile uomo di governo. Intesseva rapporti diplomatici con i pesi confinanti e anche con quelli più lontani come gli Stati di quel territorio che noi oggi chiamiamo India. 
Un giorno il Principe di uno di questi stati inviò in dono al Primo ministro un regalo molto insolito, un elefante. 
L'elefante era enorme, immensa la sua proboscide prensile, lunghe le sue zanne d'avorio e grandissime le sue orecchie. Nessuno prima a Changan ne aveva visto uno. 
Gli abitanti sbigottiti, si rintanarono nelle case parlando di un enorme mostro comparso in città. 
I cortigiani dal canto loro, dapprima spaventati, presero confidenza con il pachiderma in quanto questi era comandato a bacchetta da un ragazzino che l'aveva accompagnato per incarico del suo Principe. 
Il ragazzo si chiamava Udai ed aveva due occhi scuri e rotondi molo diversi dagli occhi a mandorla dei cinesi. 
Li Cang ricambiò la cortesie del principe inviando subito nel Mewar, osì si chiamava quello stato indiano, una ambasceria con sete e lacche rarissime. Poi, mentre gli ambasciatori con il loro prezioso carico lasciavano la capitale, incominciò ad osservare meglio l'elefante, la sua forza, la sua imponenza e si chiese; "Ma quanto peserà mai un animale così grande?" La curiosità lo indusse ad invitare i suoi amici e a convocare i Saggi colleghi del suo governo per conoscere come fosse possibile pesare l'elefante.

Dovete sapere che allora in Cina, pur essendo così avanzate le scienze e le arti, l'unico strumento per pesare era costituito dalla stadera, ossia una bilancia a piatto. 

 Con questo arnese i cinesi pesavano i sacchi di grano o di riso, pesavano oggetti gran di e meno grandi, ma certamente non sarebbero mai riusciti a pesare una cosa grande e pesante come un elefante.
I saggi si riunirono, discussero, bisticciarono, convocarono altri saggi più saggi di loro, fecero venire gli astronomi di Corte, o per meglio dire, gli astrologi che conoscevano il corso delle stelle, stilavano un calendario molto preciso,  predicevano le eclissi di sole e di luna, ma anche questi non furono in grado di dare una risposta al quesito di Li Chang. 
Dopo giorni e giorni di riunioni e di consulti infine il più saggio di tutti trovò il coraggio di andare dal Primo Ministro e con molta tristezza confessò: "Purtroppo non abbiamo trovato un piatto abbastanza grande da farci salire il pachiderma e un'asta così robusta da sostenerlo e noi non sappiamo come pesare l'elefante in un altro modo".
Il caso volle che fossa presente nella Sala delle Adunanze il piccolo Udai. Il ragazzo si incuriosì e tornato nel suo alloggio cominciò a pensare.
Intanto ormai era scesa la sera e l'ancella addetta al suo servizio prima di ritirarsi accese la lampada di bronzo per rischiarare l'ambiente mentre dal bruciaprofumi saliva in alto una nuvola d'incenso che permeava tutta la casa.
Ad un tratto Udai batté le mani e richiamò l'ancella che tornata nella stanza s'inchinò come d'uso e disse: "Ai tuoi ordini Udai, Gran Guardiano del Sacro Elefante!", "Don Wan corri  subito dallo scrivano di Li Cang e fammi mettere in lista per la prima udienza di domani mattina. Digli che Udai ha scoperto il modo di pesare l'elefante. Presto corri, non perdere tempo."
La ragazza, ripetuto l'inchino di rito, si volto e si mise a camminare velocemente, ma a passi brevissimi come solo potevano permetterle i suoi piccoli piedi fasciati sin dalla più tenera età:
Il mattino dopo, indossato uno speciale vestito d'ordinanza adatto all'occasione, Udai si trovò puntualissimo davanti alla soglia della sala delle Udienze. Il suono del gong ordinò agli armigeri di aprire la grande porta ed Udai entrò inchinandosi profondamente per tre volte. con lui entrarono anche i Saggi che non erano riusciti a trovare una bilancia adatta all'elefante.
Erano stati svegliati nella notte dagli inviati di Li Cang che aveva ordinato loro la presenza all'udienza del giorno dopo. Quando conobbero il motivo della convocazione, quando seppero cioé che un ragazzo era in grado di pesare il grosso animale essi scoppiarono in una fragorosa risata infrangendo così tutte le regole del protocollo. "Ci mancherebbe altro, un ragazzo sa quello che noi saggi non sappiamo? Assurdo! Impossibile!" Un vero coro di risate e di proteste che furono placate solo da un secco colpo di gong ordinato dal Marchese. in effetti anche lui non era troppo convinto che un ragazzo, un piccolo indiano, sapesse quello che astrologi e scienziati ignoravano, ma era convinto che comunque, in mancanza di meglio, valeva la pena di tentare.
"Udai - disse Li Cang - è vero quanto mi hanno riferito? Sai veramente come si può pesare l'elefante?" "Si - rispose il ragazzo - è una cosa semplicissima, solo che finora nessuno ci aveva pensato."
"E dimmi - proseguì il primo Ministro - dove troverai un piatto di bilancia così grande?" "La giunca arrivata ieri da Panyu è un piatto sufficiente a contenere un elefante" "E quale asta userai per sostenerlo?" soggiunse Li Chang. "L'asta più naturale che ci sia per questo tipo di piatto - rispose il ragazzo - l'acqua."
I cortigiani scoppiarono in una corale risata "Figuriamoci l'asta fatta d'acqua, che sciocchezza!"
Un'occhiata del Primo Ministro li zittì.
Chiamato lo scrivano di corte, Li Cang gli dettò un'ordinanza che ingiungeva a tutti gli artigiani della città e ai marinai della giunca di mettersi al servizio di Udai per aiutarlo nell'impresa e ai saggi di seguire il ragazzo per controllare l'operazione. Così quel mattino, dalle finestre della case in cui erano rintanati, i paurosi  cittadini di Changan videro sfilare uno strano eterogeneo corteo. In testa decine di artigiani, abili maestri del legno, del ferro, del cuoio, nei loro variopinti abiti e con gli arnesi del loro mestiere nelle mani.
Poi il grosso elefante che barriva al sole come per salutare il nuovo giorno e, comodamente seduto sopra, Udai che con un lieve tocco della mano gli indicava la strada. Quindi i Saggi, gli astrologi, gli esperti che con i loro lunghi e sontuosi vestiti chiudevano la parata pizzicandosi nervosamente, emozionati, divertiti e seccati ad un tempo, le barbette affusolate. Oltepassato l'ultimo ponte ecco finalmente dondolarsi sull'acqua dorata dai raggi del sole la giunca e sulla riva i marinai già schierati e pronti a ricevere gli ordini di Udai. Un piccolo tocco di mano del ragazzo convinse l'elefante a favorire una sua agevole discesa. Messo piede a terra Udai si rivolse al Capitano della giunca ordinandogli di allestire un pontile un pontile adatto al passaggio del pachiderma dalla riva alla nave, già svuotata in precedenza di tutte le merci trasportate. Come i marinai completarono questa prima operazione Udai si avvicinò all'elefante e dopo appropriate carezze sulla proboscide lo diresse verso attraverso il pontile sulla tolda della giunca e quindi, per la stessa strada, tornò a terra lasciando solo l'animale . La giunca sotto il peso s'inabisso di parecchio cambiando così la linea di galleggiamento. A questo punto Udai chiamò gli artigiani del suo seguito e disse loro di salire sulle barche preparate  dai marinai,  e di girare intorno alla giunca segnando, con una speciale vernice bianca, la nuova linea di galleggiamento. Quindi, con le stesse modalità dell'andata, predispose il ritorno dell'animale sulla terra ferma. Come la nave fu liberata dal suo peso ristabilì la vecchia linea di galleggiamento e a questo punto Udai ordinò agli artigiani di raccogliere tutte le pietre dei dintorni e di caricarle sulla giunca fino a quando questa si sarebbe inabissata al punto esatto del segnale bianco tracciato in precedenza. Quando questo accadde il ragazzo ordinò: "Ora non vi rimare che scaricare le pietre, pesarle una ad una ed addizionare i risultati. Il totale corrisponderà al peso dell'elefante.
Un triplice "Evviva il piccolo Saggio" urlato a squarciagola da marinai ed artigiani accolse il risultato.
Anche i Saggi perplessi prima, dovettero constatare che un ragazzo era stato più saggio di loro.
Lo stesso corteo di prima s'incamminò per il ritorno.
Agli artigiani e ai Saggi si unirono i marinai suonando tamburi, pifferi e flauti in onore del piccolo indiano.
Udai giunto a palazzo ed esposto il risultato a Li Cang questi si rivolse al ragazzo con lo sguardo soddisfatto e felice e disse: "Ti ringrazio Udai, Gran Guardiano del Sacro Elefante, da oggi sei degno di sedere tra i Saggi dell'Impero e sarai l'unico Saggio che, per molti anni ancora, non potrà lisciarsi la barba":
Ora mi chiederete: "Ma quanto pesava l'elefante?"
Suvvia amici, è semplicissimo saperlo. Basta prendere un elefante, una nave, della vernice e delle pietre e l conto è presto fatto.

Udai ha vinto il 1° Premio Assoluto per la sezione favola inedita nella seconda edizione del "Premio Farabolina" indetto in occasione del Carnevale di Viareggio.









martedì 9 dicembre 2014

PIAZZA MONTALE

Rinchiusa la portiera come in sogno
all'istante ci appare Gibellina
quella nuova del dopo terremoto
col ricordo dell'arte per le strade
ed il futuro appeso ad una stella.

Torino Vallette piazza Montale
l'acqua zampilla di fronte al teatro
mentre sulla scena Dioniso impazza
in una pizzica fatta col fuoco
che Prometeo sottrasse agli dei.

9 giugno 2007 - Spettacolo dell'Officina Caos